Le donne, la dissidenza, il potere
LE DONNE, LA DISSIDENZA, IL POTERE
Parlare delle donne, in questa epoca e nel nostro contesto sociale, sembra quasi un voler tirare in ballo questioni già discusse e risolte da tempo. Grazie a importanti battaglie, le donne hanno conquistato pari diritti e potenzialmente possono accedere a qualsiasi lavoro e ambito di ricerca, sono ammesse nei consigli di amministrazione, fanno carriera politica. In altri termini possono trovare il modo per esprimersi e realizzare i propri talenti. Ma esplorare davvero la “questione donna” comporta andare oltre il tema delle pari opportunità o dell’eguaglianza sociale e verificare in che modo possa risultare occasione di nuove acquisizioni per ciascuno, uomo o donna che sia. Ammettere la differenza è la prerogativa della modernità: in ciascun paese il livello di elaborazione della “questione donna” dice a che punto è la battaglia per la civiltà. Questo perché il concetto di potere nella sua accezione totalitaria si basa sempre sul modello sociale vittima-carnefice.
Il potere da sempre si nutre dell’idea che ci sia un soggetto forte, dominante, e un soggetto debole, sottomesso,
e da secoli la donna è stata considerata il soggetto debole funzionale a questa rappresentazione che, in qualche modo, garantisce la stabilità sociale. Le sante, le mistiche e le streghe hanno costituito un ostacolo all’establishment, un’obiezione al sistema che si definisce sul concetto dei ruoli: quello “naturale” della donna sarebbe di supporto alla genealogia a garanzia del funzionamento sociale. Da qui il conflitto che porta la società a riproporre a tutti i livelli, e in tutti gli ambiti, la dinamica del potere e della prevaricazione sull’altro a partire dal controllo sulla differenza. Rimane da chiedersi se, e in quale modo, tra le mura domestiche, al lavoro, nelle relazioni e nelle numerose circostanze quotidiane, contribuiamo a quel processo di civiltà che facilmente ci auspichiamo e esigiamo per altri o, al contrario, se alimentiamo l’asfissia sociale indugiando in vecchi cliché o pregiudizi.
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